Ambiente di coltura: aspetti generali

Su qualsiasi testo si può leggere che l'olivo è una pianta particolarmente sensibile alle basse temperature: periodi prolungati al di sotto dei -10°C possono provocare, durante l’inverno, danni irreparabili.

La temperatura ottimale di sviluppo e crescita della specie è compresa tra 20 °C e 30 °C [1]ma rallenta progressivamente i processi metabolici a temperature inferiori a 25 °C.

Da molti anni in Nord Italia si assiste alla rinascita di questa coltura; infatti a partire dalla fine degli anni 80 in Piemonte si è riscoperta tale coltivazione iniziando a ripopolare le colline e recuperando i terreni collinari incolti. La spinta verso questa coltivazione venne dettata di sicuro dalla percezione del cambiamento climatico in atto con la convinzione di un surriscaldamento globale e una mitigazione delle temperature nel Nord Italia. A seguito dell’estate del 2003 ricordata come particolarmente calda e afosa, nasce la convinzione che si potesse tornare senza problemi a questa coltivazione e il numero di impianti crebbe in modo esponenziale anche negli anni successivi.

In realtà, anche se è innegabile un innalzamento medio delle temperature si assiste a fenomeni climatici sempre più estremi: ne sono esempio le primavere estremamente miti e anticipate del 1997,1998,2007 e le estati torride del 2003, 2019 con gli inverni molto freddi del 2005 o del febbraio 2012 dove in alcune zone del Piemonte si toccarono i -20°C.

Tuttavia anche grazie ad anni di studio portati avanti dal Dipartimento di Colture Arboree della Facoltà di Agraria di Torino si sono ottenuti notevoli risultati sia in termini quantitativi che qualitativi delle produzioni locali.

Nelle zone dell’Italia settentrionale, in stagioni di annate normali, l’olivo è capace di sopportare temperature fino a 5 gradi sotto lo zero Al di sotto di tali temperature, le condizioni di eccessivo freddo cominciano ad arrecare danni alla pianta. Il danno più lieve è la decolorazione o bronzatura delle foglie, per poi arrivare defogliazione delle piante fin ultimo alla lesione della corteccia e del tronco con forte danno alla pianta. Anche quando la parte aerea viene distrutta, gli ovuli del ciocco, che è sotterraneo, originano polloni che serviranno per la ricostituzione della parte aerea. A volte, nei climi settentrionali, sono più dannose le gelate primaverili rispetto a quelle invernali che riducono o annullano la produzione. Nel 2012 si verificò un autunno mite e a seguire un inverno normale con temperature medie minime a gennaio pari a -2,2 °C. A fine dello stesso mese si verificò una importante nevicata che si è protratta per la prima settimana di febbraio con temperature minime molto basse e anche temperature massime che non sono mai salite sopra lo 0°C.

In quella stagione tutti hanno compreso dell’importanza della scelta dell’idoneo luogo di coltivazione delle specie e c’è stata molta più sensibilizzazione degli agricoltori verso le diverse fasi fenologiche della pianta. Negli appezzamenti meno danneggiati si ebbe una completa defogliazione delle piante con perdita di produzione di almeno due anni, mentre nelle aziende con una esposizione peggiore si ebbe la morte di oltre il 70% delle piante coltivate.

In linea di principio in Piemonte è indispensabile coltivare in ambiente collinare con esposizione a sud per poter usufruire del maggior numero di ore di sole. La zona è bene che sia riparata dai venti, poiché soprattutto in primavera essi possono arrecare seri danni alla pianta. L’olivo ha una struttura anatomica e morfologica caratteristica delle piante dei climi aridi e teme perciò l’umidità eccessiva del terreno e dell’aria. Inoltre il ciclo biologico dell’olivo è diverso dalle altre arboricole piemontesi. E’ sempreverde e risulta essere una pianta esotica per gli agricoltori locali abituati a specie con specie a foglia caduca. Ha due cicli di sviluppo vegetativo: il primo in primavera, come molte piante conosciute, il secondo in autunno quando cioè le altre specie perdono le foglie. Ci sono quindi due momenti di criticità: la prima per i ritorni di freddo come già accennato in precedenza, la seconda nei freddi precoci (di solito la prima settimana di novembre) quando ancora le piante non sono andate in stasi vegetativa.

Da anni si stanno studiando strategie di contenimento dei danni da freddo, soprattutto autunnali. Ricerche fatte presso la Facoltà di Agraria hanno stabilito che le coperture delle piante eseguite con vari materiali più o meno traspiranti sono risultate sostanzialmente inutili se non dannose in quanto in alcuni casi la copertura con “tessuto non tessuto” provocava un aumento di temperatura e umidità all’interno della chioma coperta che causava importanti filloptosi delle piante.

Una sperimentazione che invece ha fornito importanti informazioni è stata condotta presso il campo sperimentale di Verzuolo a partire dal 2005. Si sono utilizzate per diversi anni concimazioni fogliari a partire da metà agosto con concimi fogliari a base di fosforo e potassio a percentuali variabili.

Si è riuscito a comprendere che tale concimazione conferiva alle piante maggiore resistenza al freddo e anche nelle annate particolarmente fredde in cui si sono comunque verificati danni alle piante ma la risposta delle piante trattate è stata molto più immediata e migliore facendo riprendere le attività fotosintetiche molto prima delle piante non trattate. [2]

 

 

[1] E. Rinaldelli and S. Mancuso (1994) Cell transmembrane electropotentials in adventitious roots of Olea europaea L. cv. Frantoio as related to temperature, respiration, external potassium, anoxia, and 2,4-dinitrophenol treatments Advances in Horticultural Science Vol. 8, No. 4 (1994), pp. 229-234

[2] Prove applicative: interventi nutrizionali su colture di olivo in Piemonte Contartese V. ,Gallo L., Convegno: olivicoltura in aree marginali – Ricerche e prospettive in nord Italia (2011) pg 65-66